Scappatelle

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    Mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un'armatura, e non potrà mai essere usata contro di te.

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    Aenar Targaryen

    Era mattina presto, il sole non era ancora sorto e da dietro le montagne si intravedeva solo una lievissima striscia di luce, capace appena di rischiarare la stanza in cui Aenar dormiva. O meglio, in cui avrebbe dovuto farlo. In realtà, il ragazzino era sgattaiolato da sotto le coperte, si era vestito in silenzio e, sempre senza fare rumore, era sgusciato fuori dal portone del castello. Se qualcuno lo avesse beccato – se Donnel lo avesse beccato – sarebbero stati guai, ma alla sveglia mancavano ancora un paio d’ore e lui era certo che sarebbe riuscito a rincasare prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza. Aveva pianificato tutto nei dettagli, era sicuro che sarebbe riuscito a non far notare a nessuno di non essere a letto e a non farsi punire. Appena la settimana prima si era preso una lavata di capo perché si era allontanato nel bosco da solo e Donnel non la aveva presa bene. Non aveva fatto nulla di male o di pericoloso, in realtà: aveva solo deciso di seguire un sentiero di caccia diverso da quello dell’intera carovana, voleva provare e dimostrare al suo tutore di essere capace di sapersi gestire da solo e di saper cacciare senza l’aiuto di qualcuno. Dopo tre anni tra quei boschi, dopotutto, aveva imparato a leggere le tracce lasciate nel terreno dagli animali e sapeva usare l’arco abbastanza da colpirne uno di grossa taglia – anche se da distanza ravvicinata. Purtroppo Lord Arryn non voleva dargli modo di muoversi in solitudine, gli metteva sempre dietro qualche soldato – spesso andava lui stesso a tenerlo d’occhio – e la cosa lo faceva innervosire. Aveva tredici anni, era grande, gli erano state insegnate molte cose sull’arte della caccia e lui sapeva metterle in pratica. Perché non avrebbe dovuto aggirarsi da solo tra i boschi? Era stato bravo, aveva catturato due lepri ed era tornato a casa al tramonto, prima di cena. Eppure Lord Donnel lo aveva rimproverato pesantemente – aveva sguinzagliato le sue guardie per tutto il bosco alla sua ricerca. E se gli fosse successo qualcosa? Se fosse caduto in un dirupo o preda di un animale troppo grande per lui? Capiva cosa avrebbe significato per tutti se si fosse fatto male seriamente, a quali conseguenze avrebbe condannato lui e gli altri della sua corte? – e lo aveva messo in punizione, impedendogli di andare a caccia e di lasciare le mura di Nido dell’Aquila per una settimana intera. Per Aenar era stata una tortura guardare le montagne al di là dei vetri ed essere costretto a respirarne l’aria solo attraverso la finestra aperta. Aveva passato quei sette giorni a leggere e ad annoiarsi, ripassando lezioni di etichetta con Alys – aveva solo undici anni ed era una ragazzina, una femmina! Non potevano neanche parlare di guerra e battaglie, per i Sette! – o venendo buttato giù dal letto all’alba per strigliare qualche cavallo e lucidare spade – di cui, ovviamente, gli era impedito l’uso. Donnel sapeva perfettamente come metterlo in riga, toccando i punti giusti e privandolo dei piaceri cui più teneva per punirlo. Già dopo un anno quel ragazzo grande e grosso aveva imparato a capirlo e leggergli dentro, quindi dopo ben tre anni passati a servirlo ormai Aenar non aveva vie di scampo, con lui. D’altro canto, però, il Lord di Nido dell’Aquila era buono e gentile. Quando il Principe non lo faceva arrabbiare, egli si divertiva a insegnargli a tirare di spada lui stesso, svelandogli trucchi e mosse particolari. Fino a quel momento, tuttavia, l’erede al trono non era mai riuscito a batterlo. Per quanto si impegnasse, per quanto si allenasse ogni qualvolta ne avesse la possibilità, quando fronteggiava Donnel Arryn finiva sempre dritto sdraiato tra la polvere. E non accadeva solo con lui: era riuscito a battere soltanto un garzone di stalla, un ragazzetto imberbe suo coetaneo – e quindi quella vittoria non aveva alcun valore. Prima o poi, si era ripromesso, a finire a terra sarebbe stato il Lord della Valle.
    A passo felpato, aggirandosi tra i corridoi come un gatto, Aenar raggiunse il portone principale, lo aprì dello spiraglio necessario per passare e se lo richiuse cautamente alle spalle. La terribile settimana di castigo era terminata, poteva uscire e girovagare a piacimento fuori dal perimetro delimitato dalle mura di pietra. E sapeva esattamente dove andare. Senza indugi, stringendosi il mantello sulle spalle per ripararsi dalla frescura mattutina – era estate, finalmente, ma si trovava pur sempre sulle vette delle montagne. Lì il vento soffiava quasi sempre e non si preoccupava di che stagione fosse – il ragazzino si avviò a passo sicuro verso la stradina sterrata che lo avrebbe portato a valle, fiancheggiando la parete scoscesa della Lancia del Gigante. Non a molti piaceva, ma lui gradiva percorrere quel viottolo a piedi. Non a dorso di un asino, né nel cestello messo a disposizione per i più deboli. A piedi. Gli dava la sensazione di avere la situazione sotto controllo, di essere libero di usare i propri muscoli e non aiuti esterni. Era rilassante il doversi concentrare per mettere bene i piedi, per non cadere in fallo e precipitare. “Bè, non credo che a Donnel piacerebbe, se mi rompessi l’osso del collo”. Il Lord del castello non gli permetteva di chiamarlo per nome, Aenar si prendeva quella libertà solamente nella propria testa, ed era giusto così: in fondo, pur essendo un Principe era pur sempre il suo scudiero. Era una cosa che accettava e capiva, nonostante l’uomo presso cui prestava servizio fosse di appena dieci anni più vecchio.
    Dopo mezz’ora di discesa, il ragazzino raggiunse una curva leggermente più ampia rispetto alle altre e si fermò. Era da lì che sarebbe partito il vero e proprio divertimento, la sua sfida personale contro il tempo: avrebbe risalito il fianco della Lancia arrampicandosi sulla parete, mantenendo sotto di sé il sentiero per non rischiare di cadere nel vuoto. Avrebbe scalato a tappe, spostandosi per raggiungere verticalmente i tratti di acciottolato uniti dalla roccia. Ci aveva già provato in precedenza, ora doveva solo farlo in un tempo inferiore di quello impiegato l’ultima volta. Sollevò lo sguardo verso l’alto, il cielo era ancora grigio e il sole ancora non aveva fatto completamente capolino. Aveva tempo per raggiungere la cima e tornare all’interno della sua camera. Si arrotolò le maniche fino ai gomiti, legò il mantello in vita per non avere pendenze scomode, e iniziò a salire. Era faticoso, doveva cercare gli appigli giusti e cercare di non scivolare, ma dalla sua aveva l’agilità e la leggerezza di un fisico non ancora formato. La parte più noiosa era il doversi rimettere in piedi ogni volta che raggiungeva nuovamente il sentiero calpestabile e dover riprendere l’arrampicata dopo un’interruzione. In un paio di occasioni gli capitò di sentire la mano scivolare o una roccia franare sotto il piede, regalandogli una sbucciatura e un buco nei calzoni, ma alla fine riuscì a toccare terra salvo – non sano, ma quantomeno salvo. I palmi delle mani erano ricoperti di graffietti e polvere, tante piccole pietruzze conficcate nella pelle e che avevano creato mini pallidi crateri.
    Ritornò verso i cancelli del castello, sgattaiolò all’interno e si diresse verso le scale che lo avrebbero condotto al riparo da occhi indiscreti. Era a metà della prima rampa quando, dall’alto, una voce tonante lo apostrofò con rabbia. «Per i Sette Dei, dove diavolo ti eri cacciato!» Lord Donnel gli abbaiò contro, scendendo i gradini e raggiugendolo. Un brivido freddo percorse la schiena di Aenar, che ebbe paura nell’alzare lo sguardo e incrociare quello furibondo del suo tutore. Perché era già sveglio? Avrebbe dovuto trovarsi ancora sotto le lenzuola! Perché gli Dei avevano deciso di riservargli quel tiro mancino? Il ragazzo più grande lo squadrò con aria torva, notando quasi immediatamente le mani sporche e i vestiti laceri. La sua espressione si tramutò di colpo, diventando inviperita. «Sei andato di nuovo ad arrampicarti!» ora era davvero adirato, e non lo si intuiva solo dal tono di voce più alto: gli occhi chiari del Falco emanavano lampi, i pugni erano stretti per trattenersi dal compiere gesti avventati. «Quando capirai che è pericoloso, Aenar?!» il ragazzino non riusciva a trovare la forza di giustificarsi. Era senza parole, non aveva mai visto Donnel arrabbiarsi in quel modo. Temette di aver superato il limite, di aver compiuto il passo finale e oltrepassato il confine della pazienza del Falco. Ebbe addirittura il timore che Lord Arryn decidesse di rispedirlo ad Approdo del Re, dove suo padre lo avrebbe guardato sconsolato e deluso. Avrebbe macchiato l’onore della sua Casata? Avrebbe ricevuto occhiate di disapprovazione da chiunque? La sola idea gli fece attorcigliare lo stomaco.
    “Ero al sicuro” avrebbe voluto dire “Sapevo dove mettere i piedi, non rischiavo di cadere per miglia nel vuoto” eppure non un filo di voce uscì dalle sue labbra. Tremava. Si sentiva piccolo e stupido. Sapeva che scalare comportava dei pericoli, in genere, ma lui sapeva farlo. Lo aveva fatto centinaia di volte e non era mai successo nulla. Era ancora vivo, era bravo ad arrampicarsi, non correva grossi rischi.
    «Vai nella tua stanza. ORA!» il giovane Lord si spostò per lasciarlo passare, indicandogli la via con il braccio teso. «Dovrei metterti una catena al collo…» non riuscì a trattenersi dal dargli uno scappellotto sulla nuca, imprimendovi più forza di un semplice schiaffetto. Probabilmente, pensò il ragazzino, se Donnel avesse potuto lo avrebbe preso a schiaffi in faccia. «Non azzardarti ad uscire di là finché non verrai chiamato»
    Il Principe non avrebbe mai pensato di fare il contrario. Il pensiero di preparare i bagagli e prepararsi all’imminente partenza divenne più radicato in lui, scalino dopo scalino.
    A capo chino, terrorizzato di aver commesso l’ultimo dei suoi errori tra quelle mura, Aenar si chiuse in camera. Ebbe giusto il modo di cambiarsi d’abito e darsi una lavata, poi passò il resto del tempo sdraiato sul letto, in attesa della notizia dei cavalli pronti a riportarlo a valle.
    Non accadde. Quando un servo andò a bussare alla sua porta fu per portargli il pranzo e consegnarli secchio e stracci: il Lord non aveva intenzione di vederlo, ma neanche di cacciarlo. Gli aveva solo ordinato di lavare e lucidare tutte le armature di Nido dell’Aquila. Aenar ci avrebbe impiegato quattro giorni.

     
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    Manipolatrice di Ombre

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